I SAPORI DIMENTICATI

Nascondono un qualcosa di mitico e sanno di favola …. C’era una volta una zuppa di fagioli…. Te la ricordi la frittata di erbe selvatiche? …. Quel succo di melagrana così intenso …. Il mais rosso … la conserva di mele cotogne, la zuppa di pastinaca e ceci o con scorza nera? La pasta e vaianella?

L’elenco degli ingredienti e delle pietanze condannati ad un oblio gastronomico è lunghissimo. Perché alcune preparazioni si sono perse nel corso dei decenni o sono state dimenticate? Le cause sono molteplici. Forse l’approccio gastronomico impostosi sulle tavole degli italiani dagli anni Sessanta in poi, soprattutto nelle aree urbane; forse il boom economico ed il benessere generalizzato hanno comportato anche un’evoluzione (o involuzione?) delle abitudini cucinarie degli italiani, soprattutto là dove queste tradizioni, principalmente legate al mondo contadino e semplice, mal si conciliavano con la nuova immagine di una giovane e dinamica nazione in costante crescita industriale ed economica; forse anche la nuova figura di donna che s’impone, modificando moltissimi aspetti della vita femminile e cambiando, talora totalmente, il comportamento e le abitudini delle donne italiane.

È bastata una generazione (quella del boom economico) per interrompere la trasmissione dei sapori e saperi delle tradizioni gastronomiche regionali e creare un vuoto nel modo di fare cucina nelle case degli italiani. Paradossalmente saranno proprio i giovani cuochi, i moderni chef che, negli ultimi anni, attingendo al sapere tramandato oralmente da generazione in generazione proprio là dove si era interrotto, hanno recuperato piatti e ingredienti caduti nel dimenticatoio, rivalutando la territorialità con una particolare attenzione allo spreco. Un’inversione di trend alla ricerca di cibi più autentici, vicini al passato ed identitari.

Lo scrittore colombiano Héctor Abad Facioline, nel suo meraviglioso Trattato di culinaria per donne tristi afferma che, “A qualsiasi età̀, compresa quella tarda, è possibile far sì che il tempo retroceda. Per farlo bisogna recuperare i gesti del passato; per recuperarli bisogna tornare ai sapori dimenticati dell’infanzia. E i sapori dimenticati dell’infanzia non li dico, perché́ ognuno dimentica e ricorda a modo proprio.”

Ognuno di noi ha una pietanza segreta, un confort food che lo ricongiunge ad un momento di felicità familiare e serena convivialità, in cui la cucina domestica si esprime attraverso pietanze semplici, in perfetto equilibrio con l’ambiente e il territorio.

La nostra Delegazione si è riproposta di recuperare questi sapori dispersi e dimenticati. Come?
Regalateci un vostro ricordo, un vostro sapore passato. Donateci una testimonianza personale con una ricetta preceduta da un’introduzione, una collocazione temporale e famigliare e se riuscite anche una foto: le più interessanti saranno pubblicate sui nostri social e in una raccolta.

Inviate i vostri elaborati a accademiafrancoforte@gmail.com

TEMA DELL’ANNO 2022

LA TAVOLA DEL CONTADINO.
Il campo, il cortile, la stalla nella cucina della tradizione regionale

Scelto dal Centro Studi “Franco Marenghi” e approvato dal Consiglio di Presidenza il tema accademico per l’anno 2022 sarà: LA TAVOLA DEL CONTADINO. Il campo, il cortile, la stalla nella cucina della tradizione regionale.
Un tema vastissimo ed universale con molte sfumature a seconda della regione geografica. Sicuramente una cucina dalle semplici ricette, preparate con i prodotti della terra, dalla trasformazione del latte, dall’utilizzo degli animali da cortile. Frugale nei giorni di lavoro che si arricchisce però nei giorni di festa e nelle ricorrenze agricole.

SETTIMANA DELLA CUCINA ITALIANA NEL MONDO 2021- 22/26.11.2021

#VIVERE ALLITALIANA

LA CULTURA IN CUCINA: PERCORSI GASTRONOMICI SOSTENIBILI 
Videointervista con la Chef CATERINA CERAUDO
giovedì 25/11/21, ore 18.00

Anche quest’anno la nostra Delegazione partecipa attivamente alla VI Settimana della Cucina Italiana nel Mondo, organizzata dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) per promuovere a livello mondiale la cultura del cibo e le tradizioni enogastronomiche italiane, avente quest’anno per tema Tradizione e prospettive della cucina italiana: consapevolezza e valorizzazione della sostenibilità alimentare“. 

Il nostro viaggio in Italia, iniziato qualche mese fa alla scoperta di ristoranti di prestigio, ci porta molto lontano stasera, per approdare in una meravigliosa regione del nostro Sud, che spesso, ed ingiustamente, viene posta nel dimenticatoio: la CALABRIA. La nostra chiacchierata fra terra e mare questa sera si tinge di un colore speciale: green, verde, grün, il colore della sostenibilità. Di questo discorreremo con CATERINA CERAUDO, chef stellato del ristorante Dattilo di Strongoli in provincia di Crotone, definita “la Stella che illumina il cammino verso la Calabria”. Oltre ad avere ricevuto numerosi riconoscimenti e a detenere dal 2012 una stella rossa Michelin, nel 2021 le viene assegnata la seconda stella, precisamente la stella Michelin verde, un prestigioso riconoscimento, istituito di recente, per i ristoratori attivi sul fronte della sostenibilità. Una stella simboleggiata dalla sagoma di un fiore verde a cinque petali, ogni petalo sta ad indicare ciascuna delle nuove categorie valutative. Per questa settimana Caterina Ceraudo ci propone un menù all’insegna della sostenibilità: bottoni, mandorla, n’nduia e buccia di patate, spigola e limone candito, finocchio e limone. C’è un leitmotiv rappresentato dagli agrumi, che in Calabria non sono solo arance, limoni, mandarini e clementine; ci piace infatti ricordare che in Calabria si coltivano alcune fra le qualità più pregiate a livello mondiale di cedro e di bergamotto. Un menù che sarebbe stato molto apprezzato da Johann Wolfgang Goethe. Peccato che nel suo Viaggio in Italia – Die Italienische Reise, alla ricerca della terra dove fioriscono i limoni, non sia passato dalla Calabria.

L’iniziativa si realizza in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura di Colonia e con il patrocinio dei Consolati Generali d’Italia a Colonia e Francoforte

BUONA VISIONE E BUON APPETITO

VI SETTIMANA DELLA CUCINA ITALIANA NEL MONDO

#VIVERE ALL’ITALIANA

Tradizione e prospettive della cucina italiana: consapevolezza e valorizzazione della sostenibilità alimentare

CENA DI GALA
25 ANNI DELEGAZIONE A.I.C FRANCOFORTE (1996 – 2021)

PECCATI DI GOLA NELLA DIVINA COMMEDIA

Nell’anno in cui si celebrano i 700 anni della morte di Dante Alighieri a Ravenna nel 1321, si vuole riflettere sull’importanza che il cibo riveste nella Divina Commedia guardando alla figura del Sommo Poeta attraverso il cibo e la convivialità. Un percorso culinario che evidenzia aspetti sulla vita quotidiana di Dante Alighieri che con un semplice accenno o altri indizi ci regala un’inaspettata possibilità di gettare un’occhiata sul modo di vivere suo e del suo tempo.

Lo chef Mario Furlanello ci proporrà un menù sostenibile in sintonia col tema della presente edizione della Settimana della Cucina Italiana nel Mondo, di quattro portate, accompagnamento vini, acqua, caffè e . . . una sorpresa!

Quando: venerdì 26.11.2021, ore 19°°
Luogo: Kitchen-Open-Space, Bornheimer Ratskeller
(Kettelerallee 72, 60385 Frankfurt/M.)
Dress code: elegante casual

Si ricorda che la partecipazione può avvenire nel rispetto delle vigenti norme sanitarie (Covid-19) promulgate dalle autorità nazionali e locali in materia di accesso agli eventi culturali in spazi chiusi.

Posti limitati.
Prenotazione obbligatoria. Ulteriori informazioni: accademiafrancoforte@gmail.com


Parla come mangi …

… Le parole del cibo

Il cibo è da sempre uno dei mezzi più immediati per conoscere a fondo un paese. E’ a tal punto radicato nella cultura che spesso ne influenza anche i modi di dire, i detti e le espressioni colloquiali.
E’ risaputo quanto gli italiani amino parlare di cibo, fuori ma anche e soprattutto durante i pasti: per così dire si nutrono doppiamente.
Numerose le espressioni “appetitose” e „gustose” con le quali è condito il lessico italiano.

La lista dei modi di dire è vastissima, ve li serviremo su un piatto, svelandone il significato… ma attenzione… acqua in bocca … e… non fatevi cogliere in castagna!

FAVOLOSA ZUCCA

Come non ricordare la metamorfosi di questo ingombrante ortaggio nella favola di Charles Perrault, Cenerentola?

La comare, che era Fata, le disse: „Vorresti andare al ballo, non è così?“ Oh, sì! sospirò Cenerentola.“ „Ebbene, dice l’altra, se sarai buona, ti faccio andare“. „Va in giardino e portami una zucca.“ Cenerentola subito andò a cogliere la più bella che le riuscì di trovare, e la portò alla comare, senza capire come mai quella zucca l’avrebbe fatta andare al ballo. La comare la vuotò, e quando non fu rimasta che la sola scorza, la percosse con la sua bacchetta, e la zucca fu subito mutata in una bella carrozza tutta dorata”.

Autunno, tempo di zucche e di trasformazioni. La zucca è l’allegoria del passaggio ad una nuova condizione di vita: dall’oscurità alla luce, dalla tristezza alla felicità. Il valore simbolico della trasformazione e della rinascita si ritrova anche nelle zucche che da anni caratterizzano la festa di Halloween, celebrata nella notte fra il 31 ottobre e il 1 novembre (data che, fra le popolazioni celtiche, segnava il Capodanno, ossia il passaggio per eccellenza da una vecchia ad una nuova condizione).

Un ortaggio presente in tutto il mondo con una grandissima varietà e dalle forme più bizzarre: tonde, lunghe o semilunghe, lisce, bitorzolute, simili a funghi, gialle, verdi, rosse o bicolori. Dall’etimologia incerta, alcuni fanno derivare il termine dal tardo latino cocutia con il significato di testa, passerebbe poi a cocuzza fine ad approdare alla più recente zucca. Un ortaggio generoso in quanto è possibile mangiare ogni sua parte, anche la buccia. Ciò che non è gradito agli uomini può essere utilizzato per l’alimentazione animale. L’illustre cuoco bolognese Bartolomeo Stefani afferma nel 1662 che “se ne può fare tanta diversità di vivande, che formi una mensa intiera”. Sono commestibili le foglie e i getti più teneri della pianta, cucinati in frittata o minestra; i fiori, ottimi fritti o ripieni con un pezzetto di acciuga o mozzarella, o aggiunti a fine cottura ad un risotto. I semi, abbrustoliti e leggermente salati erano in tempi passati un rompidigiuno diffusissimo. Ve li ricordate i bruscolini? Erano il tipico passatempo da cinema o da circo, sostituiti oggi dai più moderni poc-corn.

E soprattutto si mangia la versatile polpa, gialla o arancione, soda e carnosa veniva considerata la carne dei poveri: ingrediente di vellutate, zuppe e minestre, messa nei risotti, arrostita in graticola, cotta al forno, come ingrediente per la panificazione, fritta e in svariate preparazioni dolci, o come ripieno di paste, fra le quali spiccano i famosissimi cappellacci di zucca ferraresi e mantovani. I caplaz ferraresi trovano la propria consacrazione nei banchetti rinascimentali. Sarà Cristoforo da Messisbugo, cuoco alla Corte Estense, a dichiarare nel suo ricettario che i tortelli possono essere ripieni anche di zucca.
Molti i modi di dire nella lingua italiana legati alla zucca …. grattarsi la zucca, sbattere la zucca, avere sale in zucca, zucca senza sale, zucca vuota. La zucca qui diventa attraverso la sua forma sinonimo di testa umana, il sale invece d’intelligenza.

Vogliamo concludere con alcuni versi di Gabriele D’Annunzio:

Sulle tegole brune riposano!
Zucche gialle e verdastre,
sembianti a de’ crani pelati!
E sbadiglian da qualche fessura!
Uno stupido riso al meriggio!

L’estate sta finendo … tempo di fichi e fichi d’India!

Erroneamente considerati della stessa famiglia, in realtà, questi frutti, prìncipi indiscussi dell’estate mediterranea, hanno in comune solo la stagione

La pianta del fico, come tante altre piante dell’area mediterranea, è originaria dell’Asia. Il suo frutto può fiorire ben tre volte all’anno (da giugno sino a metà settembre), ha moltissime varietà spontanee, dalle forme più o meno tondeggianti o allungate e dai colori oscillanti dal verde-giallo al violetto e al nero. Ed anche se in italiano è diffusa l’espressione “non me ne importa un fico secco!”, in realtà, essa non rende giustizia a questi deliziosi, morbidi, dolcissimi frutti che vantano una storia antichissima.

Nella Bibbia (Genesi) si narra che Adamo ed Eva, dopo aver mangiato il frutto proibito, diventando consci della loro nudità, si coprirono con foglie di fico: il primo abito ecosostenibile dell’umanità. Forse il pomo non ben identificato era invece un fico? Mentre la leggenda legata ai natali di Romolo e Remo ci racconta che i due gemellini furono allattati dalla mitica lupa proprio sotto una pianta di fico, della varietà Ruminale, dal cui nome etrusco, non solo derivarono i nomi dei fanciulli, ma anche quello della città di Roma, i cui futuri cittadini, si continua a raccontare, pare fossero soliti trarre auspici dallo stato di salute di una pianta di fico che cresceva sul colle Palatino. Insomma il fico è una pianta che porta fortuna!

Si mangia con la buccia o senza? In realtà si dovrebbe “succhiare” la delicatissima polpa zuccherina contenuta all’interno sino ad arrivare alla buccia che potrebbe essere scartata oppure essiccata, in quanto, sempre sulla base di antiche credenze popolari, le bucce dei fichi aumenterebbero la massa muscolare e dunque farebbero bene. Last but not least …. il fico è indicato come simbolo di sensualità, in Oriente esso era venerato in quanto afrodisiaco ed in grado di stimolare il piacere.

Il fico d’India, nonostante il nome che indurrebbe a pensare ad un’altra provenienza, ha un’origine americana. Cristoforo Colombo, infatti, approdando a San Salvador, era convinto di avere scoperte nuove terre dell’India ma fu soltanto Amerigo Vespucci ad accorgersi che, in realtà, era stato scoperto un nuovo continente a cui diede il nome di America.

Per la nuova pianta approdata in Europa, assieme a patate, tacchini & co. era troppo tardi, il nome restò.
Per il fico d’India, invece non ci sono dubbi: il frutto dalle smaglianti tonalità del rosso, del giallo e dell’arancione, estremamente dissetante, va mangiato senza buccia. Anzi, per essere sbucciato è richiesta una discreta perizia per evitare che le micro spine, non visibili ad occhio nudo, si attacchino alla pelle o ad indumenti. La tecnica per pelarli è piuttosto complicata e potrebbe scoraggiarne l’acquisto. Per fortuna oggi nei mercati si trovano già sbucciati, pronti per essere degustati nel loro intensissimo sapore.

A Francoforte, nel delizioso giardino della casa natale di Johann Wolfgang Goethe, i visitatori restano incantati alla vista di una meravigliosa pianta di fichi, forse il frutto che il grande letterato ama di più e che considera una leccornia, delizia di viaggio sin dai primi chilometri dell’avventura italiana. Ogni anno, a fine agosto, in occasione dei festeggiamenti per il genetliaco goethiano, quasi per magia, il fico è puntualmente gravido di frutti.

“Lungo il cammino gli alberi di fico mi avevano già spesso tenuto compagnia, […] ho trovato anche per la prima volta quei piccoli fichi bianchi che (sono) una ghiottoneria“

(da „Viaggio in Italia“)

Come li preferiamo noi? Beh certamente secchi, una delizia dal sapore arabeggiante ……molto diffusa nelle nostre regioni meridionali, rappresenta una di quelle specialità che non possono mancare sulle tavole durante le festività natalizie.

CONVIVIALE ESTIVA

Sapore d’estate … sapore di mare … sapore di noi …


Dopo otto mesi, finalmente una conviviale accademica, una cena estiva, una bellissima tavolata per ritrovarsi nuovamente insieme assaporando l’estate, stando fra di noi! Per una sera abbiamo voluto godere l’attimo … carpe diem …. Ci siamo stretti la mano, abbracciati, sentiti nuovamente vivi e umani, abbiamo ritrovato l’amata convivialità, colonna portante della nostra Accademia, per condividere nuovamente un momento di gioia, di dialogo, di conversazione.

Il ristorante che ci ha ospitato, Tempaccio, e il suo chef, Massimo Sparaco, ci hanno accolto con molte attenzioni offrendoci un menù con piatti particolari, perché come dice la filosofia dello chef … “la cucina non riguarda solo la consumazione del cibo ma cucinare significa anche e soprattutto trasmettere emozioni e raccontare storie”. Abbiamo riconosciuto i singoli ingredienti in ogni preparazione servita con eleganza in modo autentico ed innovativo per raccontare una storia altra. Massimo Sparaco ed il suo team hanno voluto osare e dimostrare che l’innovazione richiede spesso coraggio. La cucina ci ha dato il benvenuto con un carpaccio di dentice su purè di carote e carota caramellizzata e una ciliegia farcita con mousse di ricotta su crema di ciliegia al sale fermentato, cui sono seguite le mezzelune alle acciughe con salicornia e crema di pane – fantastiche – per arrivare al merluzzo e caviale con una delicatissima insalata di patate con “acqua“ d’insalata all’espresso, servita in caffettiera, estremamente delizioso. A conclusione una delicatissima cheescake alle albicocche.

E‘ stato emozionante riassaporare la libertà di potersi sedere di nuovo intorno a un tavolo con amici, oltre che con i familiari. Quanto ci è mancato questo momento di dialogo e di confronto! La convivialitá è un modo per staccare la spina e rilassarsi, è l’opportunitá di tenere vive le tradizioni culinarie e scoprirne di nuove, è uno spazio di condivisione, di discussione, di conversazione, di presentazione di noi stessi.

Buone tavolate estive a tutti voi!

LA PRIMAVERA NEL PIATTO

Diamo colore alla nostra tavola con tante sfumature di VERDE

I colori dei cibi che mettiamo in tavola stuzzicano il nostro appetito. Un regime alimentare equilibrato, sulla base di quanto afferma la cromoterapia, dovrebbe prevedere cinque porzioni di frutta e verdura al giorno di cinque diversi colori: rosso, giallo/arancio, verde, blu/viola e bianco. Ad ogni colore la cromodieta assocerebbe un effetto diverso e benefico per il nostro organismo: cibarsi di colori diversi significa anche cibarsi di sapori diversi. Insomma la tavolozza del cuoco e di ognuno di noi dovrebbe essere come quella di un pittore, di un Arciboldo, che con le sue quattro stagioni aveva compreso l’importanza della ricchezza cromatica dei periodi dell’anno.

Iniziamo dalla PRIMAVERA. Il VERDE è il colore che classicamente si associa al risveglio primaverile dopo i grigi mesi invernali, il colore della natura, del mondo vegetale, della fertilità, dell’abbondanza e della speranza. E’ il colore delle primizie che con delicatezza ci fanno confidare in una successiva esplosione di colori e sapori.

I cibi verdi sono validi depuratori del sangue, favoriscono il drenaggio linfatico e rinforzano il sistema cardiocircolatorio. Le loro proprietà vitaminiche sono largamente conosciute ed anche Antonio De Curtis, in arte Totò, affermava di doversi fare una pappata d’insalata che la vitamina C mi deve uscire dalle orecchie.

E se il nostro pittore potrà giocare fra le numerosissime variazioni presenti in natura, oscillanti dal verde oliva, al verde salvia, al verde abete, al verde menta sino al verde acqua, il nostro cuoco invece ci inviterà a saltare in padella e a condire nelle insalatiere un esercito di verdi legumi ed ortaggi: zucchine, lattughe, rucola, fagiolini, piselli, asparagi, cetrioli, fave, puntarelle, cicoria, catalogna, barba di frate, crescione, spinaci.

Le ricette sono numerosissime, tante quante sono le sfumature di questo colore, ad iniziare dagli antipasti sino ai dolci …. pensiamo ad un fresco sorbetto al basilico! Non dimentichiamo quindi il profumo sprigionato dalle erbette aromatiche ….. ma di queste, parleremo un’altra volta!

IL MITO DELLE ORIGINI. BREVE STORIA DEGLI SPAGHETTI AL POMODORO

A colloquio con il Prof. MASSIMO MONTANARI (Alma Mater Studiorum, Bologna)

Giovedì 22 aprile 2021, ore 19:30 – 20:30 / Donnerstag, 22.April 2021, 19:30 bis 20:30

Maccheroni, tagliatelle, vermicelli … il grande storico della cultura alimentare europea ha scritto con gusto un piccolo capolavoro su quello che è considerato il piatto più famoso della cucina italiana. Esiste forse qualcosa che possa essere più italiano di un piatto di spaghetti al pomodoro? Con eleganza ed attingendo al suo sapere enciclopedico Montanari ci racconta la storia di questo piatto abbattendo tutti i pregiudizi e le mezze verità che circolano intorno a questa pietanza. Una lettura leggera, appetitosa e divertente. E le origini della pasta in Cina? Falso, naturalmente!

Massimo Montanari, nato nel 1949, insegna Storia medioevale all’Università di Bologna, dove è anche direttore del Master „Storia e Cultura dell’alimentazione“. È considerato uno dei massimi specialisti per la storia della cultura alimentare a livello europeo.

Maccheroni, Tagliatelle, Vermicelli … der große Historiker der europäischen Ernährungsgeschichte hat mit »gusto« ein kleines Meisterwerk über das berühmteste aller italienischen Gerichte verfasst. Gibt es etwas, das für Italien typischer ist als Spaghetti al pomodoro? Elegant und aus seinem großen Forschungswissen schöpfend erzählt Massimo Montanari die Geschichte dieses Gerichts und räumt dabei mit all den kursierenden Halbwahrheiten und Vorurteilen auf. Eine leicht genießbare und unterhaltsame Lektüre. Und die Ursprünge der Pasta in China? Fake news!

Massimo Montanari, 1949 geboren, unterrichtet Geschichte des Mittelalters an der Universität von Bologna, wo er den Studiengang ››Geschichte und Kultur der Ernährung‹‹ leitet. Der Historiker gilt auf europäischer Ebene als ausgewiesener Spezialist für Ernährungsgeschichte.

Partecipazione gratuita. Si prega di connettersi con il seguente link/Teilnahme kostenlos. Bitte schalten Sie sich über folgenden Link zu:

https://us02web.zoom.us/j/82237715129

Un’iniziativa organizzata dall’Accademia Italiana della Cucina (Delegazione Francoforte) e dalla Deutsch-Italienische Vereinigung e.V. di Francoforte in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura di Colonia e con il patrocinio del Consolato Generale d’Italia di Francoforte.
Eine Initiative der Accademia Italiana della Cucina (Delegation Frankfurt) und der Deutsch-Italienischen Vereinigung e.V. Frankfurt in Zusammenarbeit mit dem Italienischen Kulturinstitut in Köln und unter der Schirmherrschaft des Italienischen Generalkonsulats Frankfurt.
Si ringraziano  per la collaborazione le casi editrici Laterza e Wagenbach e la libreria Weltenleser di Francoforte